Albano Mazzaretto

ALBANO MAZZARETTO - Giornalista  

Nell’ambito della rassegna di musica e teatro in villa, domani alle 21 nel giardino di Villa Carli a Costozza la compagnia teatrale “Il Covolo” presenterà la sua nuova commedia in dialetto veneto “Javol Sacranon”. 

Scritta dal regista della compagnia Nicola Pegoraro, l’opera teatrale è un’esilarante satira di costume che prende un pò in giro malattie e tic del nostro tempo, come per esempio certe fissazioni su razza, genetica e transgenetica, fino farsi gioco dello stesso ipermoderno mito di Internet. “Javol Sacranon” ruota attorno a uno scienziato pazzo, di madre tedesca e padre veneto (da qui il titolo tedesco-veneto), il quale, nell’intento di recuperare la propria integrità razziale progetta una diabolica macchina che dovrebbe filtrare i geni impuri, e quindi farlo diventare più “Javol” e meno “Sacranon”. Naturalmente, prima di provarla su se stesso, lo scienziato “fa sperimenti” su alcune più o meno involontarie cavie. E, siccome il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, qualcosa va storto, soprattutto alla famiglia Masato, una famiglia molto, ma molto “Sacranon”. Conseguenza degli “sperimenti”? Una infinità di equivoci che diventano il banco di prova per una macchina teatrale che porta in scena ben dodici attori ed è il pretesto per la presa in giro di una serie di pregiudizi comuni. Una prova impegnativa questa per la compagnia “Il Covolo”, che cambia pagina e, in cerca di nuove sfide, per la prima volta esce dalle bucoliche farse di stampo paesano per misurarsi con una pratica recitativa fuori dalla propria memoria culturale. Un impegno ravvisabile già a partire dal progetto scenografico realizzato interamente dalla compagnia che cerca di andare oltre alla tradizione del fondale dipinto di parrocchiana memoria. Nato come gruppo amatoriale a Longare nel 1992 sotto la guida di Pino Costalunga, nel corso degli anni “Il Covolo” è lentamente cresciuto legando la sua vita soprattutto alla messa in scena di alcune storie e miti del territorio come la rievocazione della visita di Galileo Galilei a Costozza nel 1993 e lo spettacolo sulla regina Adelaide a Lumignano nel 1999. Dal 2000 il gruppo, diretto da Nicola Pegoraro e con lo spettacolo “Rosti e Menarosti”, una commedia sulle buone tradizioni di una volta, ha cominciato a farsi conoscere nei vari teatri del circuito provinciale ottenendo un incoraggiante successo di critica e di pubblico. All’anniversario dei suoi primi dieci anni di vita, con “Javol Sacranon” si presenta ora al suo pubblico per un nuovo salto di qualità.

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Enzo Coltro

COLTRO - Scrittore 

Carissimo Nicola,

ieri, per me, è stata una giornata irripetibile, in quanto mi ha visto impegnato in tre manifestazioni altamente gratificanti. Al mattino ho inaugurato una mostra di oggettistica di una famiglia della civiltà contadina; al pomeriggio ho presentato il mio nuovo libro e la sera ho potuto assistere al tuo bellissimo spettacolo. Ci sarebbe stato da riempire un buon lasso di tempo, ma si vede che ho una particolare predisposizione per gli impegni... a pioggia! Comunque sia, il tutto è stato cosi gratificante che mi auguro che ben vengano altre giornate così colme di impegni. Ti ho dato del “tu”, perché mi viene spontaneo dopo averti conosciuto e così spero tu faccia nei miei confronti. Ieri sera, al mio arrivo a Costozza, sono rimasto stupito dalla lunga teoria di macchine che sostavano ai lati della strada. Pensavo ci fosse una sagra, ma quando ho appreso che erano vetture di persone venute ad assistere al tuo spettacolo, mi sono reso conto che, di lì a poco, avrei assistito a qualcosa di veramente valido ed interessante. Ti ringrazio per i posti che mi hai riservato e che hanno permesso a me e ai miei ospiti di gustare in modo assai confortevole lo spettacolo. Complimenti agli attori che, superando l’emozione della prima (cosa non tanto facile), hanno saputo interpretare il loro personaggio in modo spontaneo, simpatico ed efficace. Tutti bravi, insomma! Complimenti al coro che ha saputo creare l’atmosfera giusta per una commedia così particolare per contenuti ed emozioni. Bellissima la tua regia con quel personaggio misterioso (che mi ha ricordato le anguane dei nostri covoli in Lessinia) che ha saputo inserirsi efficacemente nel contesto dello svolgimento della commedia. Molto efficace anche la scenografia ed il gioco di luci. Ma quello che mi ha colpito ancor di più è stata la tua bravura nello spigolare dalle lettere dialoghi e battute. Quello che hai poi messo di tuo, è stato veramente gustoso e godibile. Non era facile ricavare un testo teatrale da un epistolario, ma tu hai saputo farlo con bravura e perizia.Sarei orgoglioso che anche i miei concittadini, che (e lo dico immodestamente) mi apprezzano considerevolmente, potessero vedere la commedia. Ti ho già segnalato all’Assessore alla Cultura (mio ex allievo) e ti metterò in contatto con lui. Sta preparando il programma per il Settembre Sambonifacese e mi ha già detto, tempo fa che è disposto a farvi venire a recitare da noi. A tempo debito prenderà contatti con la vostra compagnia teatrale per sapere le vostre disponibilità e per concordare il compenso per lo spettacolo. Ti raccomando la presenza del coro, perché mi pare assolutamente indispensabile per la commedia; esso riesce infatti a creare un’atmosfera particolare e che avvince lo spettatore. Un complimento anche al vostro presidente che a noi tutti ha fatto un’ottima impressione, apparendoci come una persona distinta, misurata e signorile: un bel biglietto da visita per la vostra compagnia. Prima di salutarti, ti voglio assicurare sempre la mia collaborazione e per un’eventuale stesura di testi e per quello che riterrai utile per altri spettacoli.

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Roberto Cuppone

IMG 2753ROBERTO CUPPONE - Attore e critico teatrale

Pierpaolo ama Angela e ci fa l’amore dietro la stalla, ogni sera, sfidando paron Toni e le ciacole di quella racola della Gina - quando trova il tempo di farle, tra un sigo e l’altro al povero Fulvio - ma, fatalità, proprio questa sera qui che ci siamo noi, non va a intivare gli oseladori? che prima si prendono fra di loro per fantasmi, ma invece no sono loro, poi scambiano lui per un guardiacaccia, e, non è che abbiano ciappato granché, quattro seleghe e due strioli, ma sicome che non si sa mai, per ingraziarselo lo invitano a cena dove alla Pineta viene l’idea che in fondo sarebbe un buon partito per Angela e allora Toni, che se no la Pineta gli cria, cerca di petarglielo, che Angela sarebbe ben contenta, no? anche se Piero sapeva che non era il guardiacaccia perché glielo aveva detto la Chiara e nel frattempo si era creato un equivoco sulle intenzioni della Elda - gnente di importante, robe fra amiche, con quelle tette - ma per fortuna ci pensa Menego che si sacrifica, si fa per dire, lui, che aveva giurato che mai, e se la monta in canna, così Pierpaolo sposa Angela e si brinda con un fiasco di rosso, che Toni non potrebbe, però per questa volta va là, e tutti vivono felici e contenti. A parte le seleghe.Uno spettacolo che si beve come un bicchier d’acqua, tutto d’un fiato; che del bicchier d’acqua ha la freschezza e la semplicità. Una compagnia assortita, per physique (fra le innamorate non mancano la “secca come una stroppa” e la “tonda co fa na bondola”), per età (tre generazioni, diverse per caratteri ovviamente, ma anche per lingua) e per tecnica (dalla declamazione mélo al minimalismo cabarettistico); che porta in scena tutta questa sua ricchezza e questa umanità, questo patrimonio di esperienza e di malizia, di imbarazzi e di evidenze, senza presunzione né d’arte, né di messaggio. E così facendo si rappresenta veramente, e attraverso se stessa rappresenta (più o meno volontariamente, ma che importa) una Vicenza inurbata e ricca con un passato prossimo a volte più presente del presente. Con i vantaggi e gli svantaggi di questo passato troppo (poco) prossimo: lo stupore di incontrare “per caso” una lingua, l’ultima fra quelle da noi conosciute - ancora capace di nominare le “cose”; il piacere di ritrovare nella fòla di Petòn e Petéle, ben oltre la citazione nostalgica, la forza narrativa di un simpatico tormentone (e che cos’è, per la civiltà contadina, la Storia, se non un tragico tormentone?); ma anche la comicità involontaria di quei modi di dire vicentini che non hanno il peso (non accettano la responsabilità) di essere proverbi e che nella loro ovvietà rasentano la stupidità (eppure oggi imbandierano certo revanscismo d’accatto e certo immobilismo culturale). Pegoraro, già fondatore di due compagnie (Homo Ridens e Piazzetta), attore e autore, e oggi anima del Covolo, con esperienza e misura costruisce sugli attori e con gli attori una allegra macchina da risate, sfruttando la comicità di situazione prima ancora che quella facile di battuta; liberando così il dialetto, un vicentino Riviera Berica anni Quaranta, dalla responsabilità di evocare, riesumare, sfrucugliare nella nostalgia e nella regressione; come invece spesso succede in tanto teatro dialettale. Ecco che l’Autore fa la differenza: fra tante goldonate e gallinerie, capita di incontrare un teatro amatoriale che “ama” il teatro, dunque rischia, crea qualcosa di originale e specifico, infischiandosene delle imitazioni del professionismo o dei cascami culturali di provincia. Una buona scrittura per la scena riempie di significato una vocazione al teatro di cui la nostra regione è fra le più ricche d’Italia. Rosti e menarosti è un piccolo gioioso rito civile in cui una comunità mette in scena con semplicità e immediatezza la propria appartenenza linguistica e una sincera, fisica voglia di giocare. Il titolo non mente: per una volta, a teatro, troverete più arrosto che fumo. 

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